Appena ritirate le analisi del sangue vi rendete conto che qualcosa non va nel verso giusto: nell’emocromo infatti i valori relativi al vostro RDW sono troppo alti o troppo bassi ed il rapporto con l’indicatore MCV risulta anch’esso poco soddisfacente.
Che cosa significa tutto ciò? Come agire? Quando preoccuparsi? Scopriamolo insieme.
RDW basso
RDW è una sigla utilizzata per indicare la “Red blood cells Distribuition Width“, vale a dire l’esatta dimensione ed il volume preciso dei globuli rossi presenti nel sangue. Essi, detti anche eritrociti, sono a tutti gli effetti delle cellule ed hanno il compito di portare in giro per il corpo l’ossigeno di cui si nutrono i tessuti oltre che di convogliare nei polmoni alcune sostanze di scarto prodotte dall’organismo, prima tra tutte l’anidride carbonica.
Quando il parametro, a seguito di un accurato esame dell’emocromo, rivela valori bassi c’è poco da preoccuparsi. In sostanza infatti questo significa che tutto sommato gli eritrociti in circolo nel sangue hanno una dimensione uguale o molto simile. L’omogeneità del volume dei globuli rossi è quindi pressoché naturale ed un RDW basso di conseguenza è indicativo di uno stato di salute ottimale.
Tale valore viene in genere espresso in percentuali o, in alternativa, in femtolitri. In genere questo parametro è dato anche dalla misurazione rapportata all’MCV (acronimo per Volume Corpuscolare Medio) e può essere impiegato per distinguere e classificare diversi tipi di anemia.
RDW alto
Un RDW alto potrebbe indicare delle carenze di generiche sostanze nutritive (ferro, folati oppure ancora vitamina B 12). A volte questo valore, in combinazione ad altri parametri, viene anche utilizzato per diagnosticare patologie quali l’anemia sideropenia o la talassemia eterozigote, oppure ancora l’anemia megaloblastica.
In particolare se i dati vengono incrociati con quelli relativi alla rilevazione dell’MCV è possibile appurare quale sia il reale stato di salute del paziente che potrà vedersi diagnosticare, come accennato in precedenza, non solo una semplice carenza vitaminica e varie forme di anemia più o meno gravi, ma anche patologie a carico del fegato, danni organici ascrivibili a terapie chemioterapiche, o ad antivirali mal tollerati dall’organismo, o ad abuso di alcolici o infine una sindrome mielodisplastica.
Valori normali
Innanzitutto, per quanto chi scrive non sia un medico, è bene precisare che un valore può ritenersi alto o accettabile in relazione all’età ed al sesso del paziente.
Esso oscilla per gli uomini dal 12% al 14,5% entro i 2 anni di vita, dal 12% al 14% sino al raggiungimento degli 11 anni, dall’11,6% al 13,8% tra i 12 ed i 15 anni ed infine dovrebbe attestarsi per il resto della vita su valori compresi tra l’11,8% ed il 15,6%.
Le donne invece hanno sempre valori leggermente più alti che vanno dal 12% al 14,5% nei primi 2 anni di vita, dal 12% al 14%, sino ai 5 anni, scendono sino a raggiungere l’11,6%-13,4% entro la soglia degli 11 anni, variano dall’11,2% al 13,5% entro i 15 anni per poi rimanere entro un range compreso tra 11,9% e 15,5% durante il resto della vita.
Si consideri comunque che anche i parametri cosiddetti normali possono nascondere delle anemie derivanti da patologie croniche o da danni riportati ai reni.
Valori lievemente alterati invece, paradossalmente, possono rivelarsi non preoccupanti in quanto gli strumenti di laboratorio sono spesso soggetti a piccoli errori di taratura.